Uno studio recente condotto su quasi 2.000 ex atleti della National Football League rivela un dato allarmante: circa il 34% di loro sospetta di essere affetto da encefalopatia traumatica cronica . Questa malattia, che scaturisce da ripetute lesioni craniche, può causare gravi problemi cognitivi e comportamentali, e attualmente è diagnosticabile solo post mortem. I risultati di questa ricerca sollevano importanti interrogativi sulla salute mentale e fisica degli ex giocatori, evidenziando il rischio di pensieri suicidi associati a questa patologia.
La natura della CTE e i suoi sintomi
L’encefalopatia traumatica cronica è una malattia neurodegenerativa che si sviluppa a seguito di traumi cranici ripetuti nel tempo, anche in assenza di commozioni cerebrali evidenti. I sintomi possono variare da problemi di memoria a cambiamenti dell’umore, inclusi depressione, aggressività e demenze. Questi segni possono manifestarsi anni dopo l’ultima esposizione a un trauma, complicando ulteriormente la diagnosi e la gestione della condizione.
Secondo i risultati pubblicati su Jama Neurology, l’analisi condotta dagli studiosi ha mostrato che chi ritiene di avere la CTE presenta un rischio significativamente maggiore di sviluppare non solo sintomi cognitivi, ma anche fisici, come mal di testa e dolore cronico. Tra i partecipanti alla ricerca, è emerso che il 25% di coloro che temevano di essere affetti dalla malattia nutriva pensieri suicidi, a confronto con solo il 5% di quelli che non avevano preoccupazioni in merito. Questi dati evidenziano come la percezione di soffrire di una malattia incurabile possa influenzare negativamente la salute mentale dei giocatori.
L’indagine condotta dall’Università di Harvard
Il team di ricerca dell’Università di Harvard ha intervistato 1.980 ex giocatori NFL per comprendere la correlazione tra la convinzione di avere la CTE e vari fattori di rischio psicologici e fisici. La maggior parte dei partecipanti ha riferito di manifestare sintomi come depressione, instabilità dell’umore e livelli di testosterone inferiori alla media, elementi che sono spesso associati a una qualità della vita compromessa.
La ricerca ha riscontrato che i giocatori con preoccupazioni relative alla CTE tendevano a subire anche più traumi cranici nel corso della loro carriera. Questi risultati suggeriscono che la consapevolezza e la preoccupazione per la malattia possono amplificare sentimenti di impotenza e disperazione, contribuendo così al suicidio e all’autolesionismo. Inoltre, gli autori dello studio hanno sottolineato l’importanza di affrontare anche altre condizioni mediche curabili che potrebbero migliorare la qualità della vita, come l’apnea del sonno e problemi ormonali.
L’importanza della diagnosi precoce
Sebbene la CTE non possa essere diagnosticata se non post mortem, i ricercatori invitano gli ex atleti e i loro medici a prestare maggiore attenzione ai sintomi neurogognitivi. La diagnosi e il trattamento tempestivi di condizioni comorbide potrebbero non solo migliorare la salute generale degli ex giocatori ma anche alleviare alcuni dei sintomi che possono essere erroneamente attribuiti alla CTE.
Il Dr. Ross Zafonte, coautore dello studio, ha evidenziato come le convinzioni soggettive dei giocatori possano influenzare la loro salute e le loro scelte di vita. La ricerca continua a suggerire che un approccio più approfondito alla salute degli ex atleti potrebbe prevenire la progressione di sintomi e condizioni che potrebbero portare a pensieri di autolesionismo. È, quindi, fondamentale che il sistema sanitario adotti strategie per riconoscere e trattare efficacemente queste problematiche in modo da promuovere una migliore qualità della vita per chi ha vissuto l’intensa carriera di un giocatore professionista.