Una complessa inchiesta condotta dal Tribunale di Torino ha portato al sequestro di beni e denaro del valore di 74,8 milioni di euro, a carico della famiglia Elkann. I fratelli John, Lapo e Ginevra Elkann sono coinvolti in un caso che mette in luce presunti stratagemmi legati alla successione di Marella Caracciolo. L’operazione, eseguita dalla Guardia di Finanza, ha preso avvio dalle indagini sulle modalità di spartizione dell’eredità e sulla presunta falsificazione di donazioni.
La complessità dell’eredità degli Elkann
Il patrimonio di Marella Caracciolo, deceduta recentemente, è stimato in un totale di 170 milioni di euro, comprendente quadri, gioielli e oggetti d’arredo. I tre fratelli Elkann avrebbero effettuato una suddivisione dei beni ereditari, catalogandoli come “regali” concessi dalla nonna in vita. Questa manovra avrebbe permesso di ridurre la “massa ereditaria” e, di conseguenza, l’onere fiscale sul patrimonio. I documenti ottenuti nel corso dell’indagine rivelano che centinaia di atti potrebbero confermare questa operazione.
La Guardia di Finanza, nell’ambito dell’inchiesta, ha identificato John Elkann come il principale artefice di questa strategia, architettata per mantenere sotto controllo la residenza svizzera di Marella. L’intera operazione di spartizione avrebbe incluso la selezione dettagliata dei beni, in base alle preferenze personali dei fratelli. Ad esempio, Ginevra avrebbe scelto orecchini pendenti con diamanti blu valutati 78 milioni di euro, mentre Lapo sarebbe ricorso a un servizio di piatti di origine russa, evidenziando la varietà e l’importanza patrimoniale di quanto in questione.
Dettagli sull’inchiesta e sui beni sequestrati
Nel corso dell’indagine, i magistrati hanno scoperto che i beni scelti dai fratelli Elkann includevano opere d’arte di notevole valore, come un dipinto di Andy Warhol stimato in 10 milioni e un famoso quadro di Claude Monet del valore di 17 milioni e mezzo. Questi beni erano stati catalogati dalla segretaria personale di Marella, Paola Montaldo, in un documento intitolato “Scelte”. Secondo gli inquirenti, però, questi beni non sarebbero mai stati realmente donati a John, Lapo e Ginevra, restando sempre di proprietà di Marella fino alla sua morte.
L’indagine si è indirizzata anche sulle modalità utilizzate per rendicontare le presunte donazioni: in una email intercorso tra Montaldo e John Elkann, si evince che l’idea era di considerare come regali beni non presenti nella casa al momento del decesso. Gli investigatori hanno ipotizzato che queste pratiche siano state utilizzate per falsificare le donazioni, in un tentativo di ridurre l’impatto fiscale.
Le accuse e la difesa degli Elkann
I pubblici ministeri dell’inchiesta, compresa l’accusa di Marco Gianoglio, hanno sostenuto che la residenza svizzera di Marella è stata oggetto di un piano studiato per giustificare la sua presenza in quel Paese. Secondo il parere delle autorità, generosi elementi confermerebbero la permanenza di Marella in Italia, in contrapposizione al tentativo di registrare una residenza fittizia in Svizzera.
Il Gip ha evidenziato John Elkann come il protagonista centrale di questa strategia, avendo presieduto a cruciali comunicazioni e contrattempi con esperti legali e commercialisti. L’ipotesi accusatoria si basa su un complesso sistema di asset privati, tra cui movimentazioni bancarie sospette e l’utilizzo di societarie offshore. In risposta alle accuse, i legali della difesa hanno ribadito l’estraneità degli Elkann alle contestazioni e hanno dichiarato l’infondatezza del sequestro, sottolineando che il gruppo ha sempre adempiuto ai propri doveri fiscali e che i loro beni sono sempre stati dichiarati.
I prossimi sviluppi del caso potrebbero rivelarsi complessi, con un ampio dibattito giuridico in vista, considerando la portata e la rilevanza del patrimonio da gestire e le gravi accuse mosse contro la famiglia Elkann.