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Michele Fiorillo condannato a 12 anni: il nuovo capitolo della storia mafiosa dei Piscopisani

Michele Fiorillo condannato a 12 anni: il nuovo capitolo della storia mafiosa dei Piscopisani - Bagolinoweb.it

Michele Fiorillo, noto come “Zarrillo”, è stato condannato a 12 anni di reclusione dalla Corte d’Appello di Catanzaro. I giudici hanno stabilito che Fiorillo ha continuato a ricoprire il suo ruolo di capofamiglia della ‘ndrina anche durante la detenzione. Questa decisione segna un nuovo, significativo capitolo nella complessa carriera processuale del presunto boss della cosca Piscopiana. La sentenza ribalta l’assoluzione ricevuta in primo grado e accende un faro su una vicenda che evidenzia l’intreccio tra mafia e giustizia nella regione.

Il ruolo di Michele Fiorillo nella cosca

Michele Fiorillo è considerato un personaggio chiave dei Piscopisani. Soprannominato il “contabile” della ‘ndrina, viene descritto dai collaboratori di giustizia come un leader capace e astuto, abile tanto nell’uso della violenza quanto nella gestione strategica delle operazioni criminosi. Bartolomeo Arena, ex affiliato che ha collaborato con la giustizia, lo ha definito “il vero personaggio di Piscopio”, sottolineando le sue ampissime connessioni nel Reggino e la sua capacità di interagire in modo efficace sia in contesti legali che illegali. Le sue attività illecite spaziano dal traffico di stupefacenti all’estorsione, fino all’usura, dimostrando un ampio raggio d’azione nel mercato criminale locale.

Inoltre, la testimonianza di Raffaele Moscato, un altro collaboratore, rafforza l’immagine di Fiorillo come figura centrale nelle decisioni importanti della cosca. Moscato ha testimoniato che Fiorillo, insieme ad altri leader come Rosario Fiorillo, si occupava di pianificare le operazioni del clan, incluse le faide territoriali. Tuttavia, la mancanza di prove concrete riguardo alla sua attività criminosa durante la detenzione ha inizialmente portato i giudici di primo grado a non considerare sufficienti tali testimonianze per la condanna.

La posizione della Corte d’Appello riguardo alla detenzione

Con la sentenza del 25 gennaio 2023, i giudici d’appello hanno contestato l’interpretazione dei fatti da parte della Corte di primo grado, evidenziando che la detenzione di Fiorillo non prova l’interruzione dei suoi legami con la cosca. Infatti, il collegio ha puntualizzato che non c’è stata una cesura concreta tra l’individuo e l’associazione mafiosa durante il periodo di detenzione. Le dichiarazioni di Moscato, Mantella e Arena hanno dimostrato che Fiorillo ha mantenuto una condotta associativa fino al 2019, ben oltre il 2011, periodo in cui si concentra l’attività incriminata del processo Crimine.

Il collegio ha anche messo in luce un caso di estorsione a carico di un circo, avvenuto a Vibo Valentia, che evidenziava le interconnessioni tra Fiorillo e i vertici delle consorterie mafiose locali. Sebbene Fiorillo fosse stato assolto in un’altra causa riguardante questo episodio, i giudici della Corte d’Appello hanno considerato questa prova come significativa per stabilire il suo coinvolgimento attivo nelle attività mafiose.

I fatti rivelatori durante la detenzione

I giudici d’appello hanno preso in esame quattro episodi avvenuti durante la detenzione di Fiorillo, utilizzandoli come prove per la sua continua affiliazione alla cosca. Il primo episodio risale al 2011, quando Fiorillo avrebbe scambiato un gesto minaccioso con il fratello Rosario in un tribunale. Questo gesto, descritto da Moscato, avrebbe avuto un significato chiaro e sarebbe stato legato alla faida in corso tra clan rivali.

Un secondo episodio ha coinvolto un permesso di visita concesso a Fiorillo in occasione del decesso del padre. Qui, avrebbe incontrato Raffaele Moscato, che si era presentato come un parente per discutere questioni relative alla guerra contro un altro clan. Fiorillo, durante questo incontro, avrebbe anche espresso desideri di vendetta non appena fosse tornato in libertà.

Infine, una presunta lettera inviata da Rosario Battaglia, anch’esso condannato per associazione mafiosa, rivela comunicazioni interne al clan sulla percezione di tradimento da parte di altri affiliati. Fiorillo avrebbe risposto affermando l’autosufficienza del suo gruppo, evidenziando la volontà di mantenere il controllo. Questi eventi hanno convinto i giudici della Corte d’Appello a ribaltare l’assoluzione iniziale e confermare la condanna a 12 anni.