L’ambasciatrice della Palestina in Italia, Abeer Odeh, ha recentemente espresso le sue opinioni sulla situazione in Gaza e il contesto storico della lotta del popolo palestinese durante un incontro a Bari. Nel suo intervento, Odeh ha messo in luce le realtà difficili che la popolazione sta affrontando da anni, invitando a riflettere sul passato e sulle ragioni che possono aver condotto agli eventi del 7 ottobre. Il suo discorso ha sollevato interrogativi sulla percezione internazionale del conflitto e sulle disparità nel riconoscimento dei diritti di resistenza tra diversi popoli.
Le condizioni di vita a Gaza: un contesto difficile
Abeer Odeh ha posto l’accento sulle drammatiche condizioni di vita dei palestinesi a Gaza, dove la popolazione vive sotto un assedio che dura da 17 anni. La situazione è caratterizzata da una mancanza significativa di risorse essenziali: l’80% dell’acqua disponibile non è potabile, un problema che influisce non solo sulla salute pubblica, ma anche sulle normali attività quotidiane. La scarsità di cibo e farmaci complica ulteriormente la vita quotidiana dei cittadini, molti dei quali si trovano a dover affrontare malattie e carestia in un contesto di forte oppressione.
Questo quadro desolante invita a riflettere sul significato della parola “oppressione”. Odeh ha suggerito che l’assenza di libertà e le condizioni di vita insostenibili hanno contribuito a una reazione collettiva. Rispondere alla violenza con la rivolta diventa, quindi, quasi inevitabile per un popolo che vive a lungo in tali condizioni. La crescente frustrazione e la mancanza di prospettive per il futuro possono generare atti di resistenza che sono visti con comprensibile meraviglia dalla comunità internazionale.
Il riconoscimento internazionale e le sue contraddizioni
L’ambasciatrice ha richiamato l’attenzione sulla posizione della comunità internazionale riguardo alla situazione della Palestina. Ha citato il riconoscimento da parte della Corte di giustizia internazionale, che ha confermato che la Palestina è sotto occupazione e ha esortato Israele a ritirare le proprie forze. Tuttavia, Odeh ha evidenziato una contraddizione significativa: mentre la resistenza di altri popoli, come quella ucraina, è applaudita e sostenuta, quella del popolo palestinese continua a essere stigmatizzata e condannata.
Questa disparità nel trattamento delle diverse resistenze solleva interrogativi su come la comunità internazionale percepisca il diritto dei popoli a difendersi e a lottare per la propria libertà. Odeh ha quindi invitato a una riflessione più profonda sul concetto di resistenza, suggerendo che negare questo diritto al popolo palestinese è omologarlo a una condizione di subalternità e impotenza.
La resistenza come diritto: una questione di giustizia
Odeh ha infine ribadito l’idea che ogni popolo ha il diritto di ribellarsi contro l’ingiustizia. La sua posizione è chiara: non può esserci vera pace senza giustizia, e ogni tentativo di risolvere il conflitto deve prima affrontare le profonde ingiustizie vissute dai palestinesi. La resistenza nasce non solo come risposta a un’aggressione, ma come espressione di un desiderio di dignità e di autodeterminazione.
In questo contesto, l’ambasciatrice ha sollecitato la comunità internazionale a riconsiderare il proprio approccio e a impegnarsi attivamente a favore di una soluzione che garantisca i diritti dei palestinesi, all’interno di un processo di pace equo e duraturo. La questione palestinese rimane complessa e sfaccettata, richiedendo un’analisi profonda e imparziale delle cause storiche e attuali che ne alimentano il conflitto.