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La fotografia che racconta le ferite della guerra: il nuovo libro di Katja Petrowskaja

La fotografia che racconta le ferite della guerra: il nuovo libro di Katja Petrowskaja - Bagolinoweb.it

Nel panorama letterario contemporaneo, il titolo “La foto mi guardava” di Katja Petrowskaja emerge come un’intensa riflessione sull’arte della fotografia e la sua capacità di raccontare storie, specialmente in un contesto di conflitto e devastazione. La scrittrice invita i lettori a un’esplorazione profonda delle immagini che ci circondano, proponendo una forma di comunicazione che va oltre le parole. In un’epoca dominata dall’immagine, Petrowskaja ci esorta a fermarci, ad osservare e a comprendere il significato più profondo di ciò che vediamo attraverso l’obiettivo.

L’importanza del guardare: fotografie che parlano

Con l’apertura di questo libro, Petrowskaja ci presenta una fotografia significativa, quella del Muro di Berlino, scattata da un ponte di ispezione della polizia dell’ex Germania Est. L’immagine ritrae un parco animato da persone e un paesaggio desolato dall’altro, noto come la “striscia della morte”. Il contrasto tra questi due mondi genera una riflessione sul significato del guardare e dell’essere osservati. “Il fotografo aveva una veduta d’insieme, ma non era in grado di interpretare completamente la scena,” scrive l’autrice. Questo ci riporta a una realtà in cui l’osservare non implica più la possibilità di controllare o di impartire giudizi.

Viviamo in un’epoca in cui la guerra continua a segnare profondamente le vite e i luoghi. Petrowskaja sottolinea il rapporto intrinseco tra il guardare e il contesto bellico, affermando che, sebbene il suo libro non tratti direttamente della guerra, le sue avventure sono indissolubilmente collegate ad essa. L’autrice ci guida attraverso le fotografie che ha collezionato nel corso degli anni, evidenziando la complessità del loro significato, in un Paese come l’Ucraina, colpito da conflitti devastanti.

La guerra e la memoria: un viaggio attraverso le immagini

Il libro si apre con una potente immagine proveniente dal Donbass, che ritrae un minatore in una situazione di vulnerabilità: “Quella vicinanza mi ipnotizzava, ne ero spaventata.” Questa riflessione mette in luce la possibilità di una connessione profonda tra l’osservatore e l’osservato, e il potere evocativo della fotografia. Petrowskaja non si limita a descrivere l’immagine, ma si immerge nei sentimenti e nelle storie dietro di essa, rivelando l’intensità emotiva racchiusa in ogni scatto.

Le fotografie che l’autrice ha scelto di condividere raccontano storie di sofferenza e resilienza. In un passaggio cruciale, una donna che scatta fotografie al fronte avverte: “Non fotografateci, altrimenti quelli vengono e sparano.” Questa frase evidenzia il delicato equilibrio tra la funzione dell’arte e le crudi realtà del conflitto. L’arte come atto di coraggio, ma anche come rischio, invade le pagine del libro, dove ogni immagine si fa portatrice di un messaggio potente.

Un racconto di famiglia: il passato e la sua eredità

Petrowskaja non dimentica le sue radici e ci offre un’ardente introspezione attraverso le due fotografie di famiglia. In un’immagine, la giovane autrice appare accanto al padre, con la stampa al contrario che provoca riflessioni sbagliate e preconcetti sul passato. La seconda è un ritratto della famiglia del 1977, immersa in una cortina di fiori, un simbolo di bellezza che nasconde le difficoltà e le ingiustizie del regime sovietico.

Questa dicotomia tra l’apparente normalità e il dolore sotteso è un tema costante nel libro. La madre lavora duramente per mantenere la famiglia, mentre il padre, professore universitario, è privato delle sue opportunità. Petrowskaja descrive con delicatezza la sua infanzia, paragonandola a un viaggio in “Alice nel Paese delle Meraviglie”, rendendo tangibile la confusione e l’assurdità vissuta da molti in quel periodo storico.

Il racconto si articola in un’unità narrativa potente, scrutando nella memoria collettiva e personale, rendendo ogni storia una riflessione universale sulle esperienze umane.

La narrazione di Katja Petrowskaja, quindi, non è solo un omaggio alla forza della fotografia, ma anche una celebrazione della vita e della memoria in contesti di guerra. Il suo approccio sensibile e profondo invita a riflettere su come ogni immagine possa essere un potente strumento di narrazione, capace di trascendere il tempo e lo spazio.